Tutti noi abbiamo provato, nella nostra vita, il dolore improvviso per la perdita di uno stretto familiare molto anziano, diciamo pure vecchio, e malato.
Un misto di consapevolezza e al contempo di ribellione all’inevitabile, seguiti da un senso di solitudine.
La Fede ci aiuta, se ad essa ci abbandoniamo senza resistenze razionali e materiali, ma la ferita nel nostro animo e nella nostra psiche resta, anche se gli anni la rimargineranno.
Così è stato per Benedetto XVI.
Ci sembrava immortale, ma non era che la proiezione del nostro desiderio.
Ora non c’è più, ma molto ci ha lasciato. Come il fatidico “zio d’America” (dovremmo dire “di Germania”) era ricchissimo e tutto il suo patrimonio ci è stato donato in eredità. Ed è un patrimonio assai più duraturo del denaro, dei gioielli o degli immobili.
E’ la sua immensa sapienza filosofica e teologica che ha posto punti fermi e invalicabili, sin dal Concilio Vaticano II e, dopo, nei suoi 23 anni alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede, e infine nei circa otto anni di Pontificato. Pur sempre avversato dalla parte dei teologi politici che si autodefiniscono progressisti, e hanno velleità di infallibilità, nonché dai così detti intellettuali organici che sacrificano la cultura e la verità per l’ideologia, Fino all’irrisione (“il pastore tedesco” lo definì il solito Il Manifesto). Non si conosce il commento di Benedetto XVI a quel titolo giornalistico in prima pagina, ma siamo pronti a scommettere che ad un amico degli animali come egli era, non sarà dispiaciuto questo paragone omerico che, in fondo, esaltava la fedeltà al suo Signore e la disponibilità a difenderne a tutti i costi la Rivelazione.
E’ proprio di questa sua propensione e scelta di vita rivolta alla custodia e alla difesa della Parola del suo e nostro Signore vogliamo parlare in questo momento.
Benedetto XVI è stato uno dei più profondi filosofi, e specificatamente teologi, del XX secolo. Tali e tante e così complesse sono le problematiche da lui affrontate che non oso neppure tentare un semplice elenco di esse. Negli anni a venire studiosi migliori di me analizzeranno il suo pensiero. Attraverso non solo i suoi scritti, ma anche e soprattutto le sue sentenze di magistero.
Preservare, difendere e trasmettere il Depositum Fidei della Chiesa è stato per Benedetto XVI lo scopo della sua vita. Egli ha interpretato con rigore e determinazione, ma anche con umiltà e gentilezza, il ruolo di difensore strenuo della Rivelazione che si completa, è vero, nella sua forma pubblica, con la morte dell’ultimo apostolo, san Giovanni e quindi ad essa non è più possibile aggiungere nulla, ma continua con la Sacra Tradizione e il Magistero.
La Rivelazione, infatti, non si comunica solo con le Sacre Scritture, ma anche con la Tradizione e con il Magistero della Chiesa. La costituzione Dei Verbum elaborata nel Concilio Vaticano II, esplicitamente riconosce che “ La sacra Tradizione e la sacra Scrittura costituiscono un solo sacro Depositum della Parola di Dio affidato alla Chiesa" ( cost.dogm. Dei Verbum, n.10,).
Benedetto XVI per tutta la vita ha ascoltato i segni dei tempi, ha studiato le Scritture e la Tradizione, ha riconosciuto ed enucleato questi Principi e Valori immutabili e non negoziabili e, ad essi ispirandosi e applicandoli, ha con fermezza contrastato le tendenze talvolta al limite della eresia, che intendevano riformare la Tradizione, e quindi depauperare il Depositum Fidei.
Lo ha fatto con mitezza ma con coraggio. Come dimenticare le decisioni della Congregazione nei confronti della così detta Teologia della Liberazione, o la Lezione di Ratisbona nella quale ha dimostrato, con argomenti filosofici ineccepibili, gli errori filosofico-teologici dell’Islam. Lezione da un lato troppo difficile da essere compresa dai divulgatori di notizie mediamente poco acculturati, dall’altro così profonda e vera da incutere terrore in chi, invece, era in grado di comprenderla ma assolutamente deciso a contrastarla per motivi prima che teologici, politici.
Come dimenticare che la paura della sua parola ha spinto 67 professori dell’università La Sapienza di Roma, nel 2007, a pretendere e imporre che egli non si recasse nell’ateneo per tenere una lectio magistralis per l’inaugurazione dell’anno accademico. Con una lettera pubblicata su Il Manifesto (sempre loro!) il prof. Emerito Marcello Cini manifestò il timore che Benedetto XVI nella sua Lectio auspicasse quell’ “ incontro tra Fede e Conoscenza ” che è alla base del suo disegno, così di fatto negando a un professore universitario di rango di pronunciare la sua lectio magistralis e quindi negando il fondamento stesso della Università: la libertà di insegnamento.
Quest’ultimo episodio appartenente alla polemica assai sterile cui Benedetto XVI è stato da sempre al centro, proprio per la forza e il rigore delle sue convinzioni, ovvero se fosse un conservatore o un innovatore.
Paradossalmente è stato tacciato di essere l’uno e l’altro. Troppo innovatore al tempo in cui partecipò da consulente dell'arcivescovo di Colonia e quindi perito, durante tutte le sessioni conciliari, troppo conservatore nei 23 anni di guida della Congregazione ex Sant’Uffizio e nei circa otto anni da Pontefice.
Sterile polemica che non coglie esattamente il problema perché fondata su categorie logiche e mentali estranee al tema, vale a dire politiche e non filosofico-teologiche.
A tale proposito, della enorme mole di problematiche affrontate da Benedetto XVI due attirano la mia attenzione. Il rapporto e la conciliazione tra Fede e ragione (che tanto faceva paura ai 67 professori romani), con il corollario dell’inaccettabilità dell’agnosticismo e del relativismo filosofico- teologico e morale, e la strenua difesa del Depositum Fidei, intimamente collegate tra loro
Sulla prima molto è stato detto e scritto e non pretendo di enucleare una analisi originale. Osserverò solo che Benedetto XVI aveva ben chiaro che Fede e ragione non sono in contrapposizione tra di loro, ma in complementarietà permettono all’Uomo di approfondire le tematiche filosofico-teologiche e permettono di comprendere la razionalità della Fede e i limiti della ragione, che ben può, se lasciata puramente a se stessa, produrre mostri come quelli conosciuti dall’umanità proprio nel XX secolo (Benedetto XVI: L’elogio della coscienza, 2009). La fede cieca nella ragione, nel moderno, qualunque esso sia, nello scientismo, nell’iperazionalismo, nella pianificazione razionale della società conducono alla posposizione della Persona rispetto alle costruzioni razionali e costituiscono una visione aberrante e disumana se non accompagnate dalla Carità, quindi dal messaggio divino, quindi dalla Fede.
«La Fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità» è l’incipit della enciclica di Giovanni Paolo II Fides et Ratio, molti dei cui punti sono stati svolti proprio da Benedetto XVI durante il suo pontificato.
Tuttavia, proprio la consapevolezza che la ragione e la scienza sono sempre falsificabili, come ci insegna la moderna filosofia della scienza, potrebbe condurre non solo al relativismo nelle conclusioni teoriche sul nostro essere ed esistere, ma anche e soprattutto alla conseguenza più catastrofica, vale a dire quel relativismo morale che tutto giustifica e tutto accetta in nome di costruzioni puramente logico razionali, prive di un fondamento assoluto, prone esclusivamente all’imperativo “adeguarsi ai tempi”. Ma non sembra che Gesù si sia “adeguato ai tempi” nella sua Rivelazione. Solo la Fede può fornirci la seconda ala per innalzarci “verso la contemplazione della verità”.
Qui si innesta il secondo aspetto or ora citato, intimamente connesso: il continuo richiamo e la difesa ad oltranza del Depositum Fidei della Chiesa Cattolica.
E’ noto che il Depositum Fidei costituisce un patrimonio unico di tutte le verità teologiche, che attengono alla conoscenza, quindi alla Fede e all’etica, e comportamentali, che attengono quindi alla morale, insegnate agli apostoli da Gesù e da questi trasmesse al collegio dei Vescovi quali loro successori. Si tratta quindi prima di tutto della Rivelazione pubblica, quindi anche della Sacra Tradizione, cioè la trasmissione ai fedeli, sin dall’inizio della predicazione apostolica, di ciò di cui la Chiesa ha preso coscienza in relazione alla Rivelazione pubblica e alle sacre scritture, "La Chiesa, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina," (Lumen Gentium, Concilio Vaticano II, cost.dogm. Dei Verbum, n.8).
In conclusione il Depositum Fidei è costituito da tutte quelle verità che la Chiesa conserva, custodisce e trasmette, e da cui il Magistero attinge tutto ciò che propone ai fedeli di credere come Verità Rivelata (Concilio Vaticano II, cost.dogm. Dei Verbum, n.10,).
In questa ottica non ha senso analizzare l’azione di custodia e difesa di Benedetto XVI del Depositum Fidei secondo categorie socio politiche come conservatore o progressista, e ancora meno senso usare le categorie politiche destra o sinistra, come qualcuno ha azzardato.
La questione sta invece in termini completamente diversi perché diversi e distinti sono i campi in cui ci si muove. La Rivelazione non è un manifesto politico o economico e le categorie di pensiero proprie delle scienze umane o naturali non collimano con quelle della teologia, perché diverso è l’oggetto dello studio. Le prime incentrate sul fenomeno naturale o umano, la seconda dedita alla speculazione teorica e dottrina sistematica intorno a Dio, al dato rivelato e alla realtà della fede cristiana. Il “prodotto” delle prime è un piano di azione politica, economica, di ricerca etc, il “prodotto” della seconda è la consapevolezza e l’approfondimento nella e della Fede.
L’obbligo di trasmettere le Verità di Fede è adempiuto innanzi tutto nello studio per comprendere i Valori e i Principi immutabili e non negoziabili della Rivelazione, e quindi nel custodirli, preservarli e trasmetterli ai fedeli contemporanei e futuri. La funzione di conservazione è quindi essenziale alla Fede stessa perché ne permette la conoscenza e la trasmissione.
In questo senso Benedetto XVI è stato un conservatore, tra i più raffinati e autorevoli, perché conservare non significa essere retrogrado, arretrato, reazionario, codino, antimoderno etc. Significa, al contrario, ricercare le basi solide come la pietra sulle quali stabilire la propria Fede e, leggendo i segni e lo spirito dei tempi, tramandarle (tradere : consegnare, lasciare in eredità) perché costituiscano sempre il fondamento della Rivelazione vissuta, della etica, della morale.
Ogni religione che assuma di promanare da una rivelazione divina non può che essere, teologicamente, conservatrice, e particolarmente la religione Cattolica, ma al contempo riformatrice attraverso l’affrontare il tempo presente nel rispetto del contenuto del Depositum Fidei. Riformare senza conoscere i fondamenti e soprattutto rispettarli, significa in realtà tradire ciò che ci è stato commesso di custodire e proteggere. Il vero conservatore, e ciò vale anche fuori dall’ambito teologico qui analizzato in particolare quello politico, è per sé un progressista proprio perché conserva al fine di progredire, mantiene fermi i Principi e Valori perché nel loro rispetto si possano cambiare gli elementi della religione non oggetto di rivelazione e soprattutto si possano affrontare le nuove situazioni e risolverle alla luce di essi.
Infatti, soprattutto i progressi della conoscenza scientifica hanno posto nuove sfide, sconosciute solo cinquanta anni orsono, ed anche il mutamento della coscienza civile laica, delle abitudini, della economia hanno posto l’uomo dinanzi ad interrogativi etici e morali allora inimmaginabili. Ciò, però, non ha intaccato la fedeltà ai Valori e Principi. Progredire significa, allora, affrontare, gestire e risolvere i nuovi interrogativi e solo chi conserva intatti i Valori e Principi può affrontarli anche in maniera radicale ma discendente da,e coerente con, quelli.
Anche la ragione, allora, interviene e ci aiuta nel discernimento e nella ricerca di soluzioni inedite a problemi inediti realizzando quella complementarietà di cui si è discorso.
Con la sua vita e la sua opera, e con la strenua difesa della complementarietà tra Fede e ragione, della conservazione del Depositum Fidei e della lotta al relativismo, Benedetto XVI ci ha quindi impartito una lezione teologica di alto profilo e spessore, e ci ha anche indicato un atteggiamento mentale, un valore culturale generale, costituito dalla propensione a ricercare, sempre e in ogni campo, i Valori e i Principi irrinunciabili che costituiscono il filo rosso che unisce i popoli nella nostra complessa civiltà occidentale.
UMANESIMO
CRISTIANO
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Declinare i Valori Cristiani nella Società Aperta