Scriveva A. Smith ne La Ricchezza delle Nazioni, che l’egoismo, degli individui e degli stati è la Mano Invisibile del progresso. Visione apparentemente pessimista e distruttiva. Egli, però, nel suo “Teoria dei Sentimenti Morali” afferma anche: “Per quanto egoista lo si possa supporre, l’uomo ha evidentemente nella sua natura alcuni principi che lo inducono a interessarsi alla sorte degli altri e che gli rendono necessaria la loro felicità“.
Di contro al proclamato egoismo, presunto strumento di equilibrio e benessere, Smith introduce due sentimenti spirituali apparentemente in contrasto con l’interesse materiale: la felicità, la condivisione della sorte degli altri. Sembra in pieno contrasto con il comportamento che, seguendo solo il proprio bieco interesse materiale, massimizza l’utilità, a dovrebbe condurre all’ottimo sociale.
Smith spiega questa affermazione richiamando l’“amore di sé”. Usa proprio questa espressione (self love) e non “interesse per sé” (self interest), volendo riferirsi al primo non come egoismo interessato o narcisismo, ma quale sentimento imparziale, quasi un arbitro immaginario dalla cui approvazione dipende la scelta della condotta. Un amore fondato sulla simpatia, nel senso etimologico di συμ-πάθεια, condividere un sentimento con gli altri.
Chi è questo arbitro imparziale? È un altro sé generico, identificabile con la capacità umana di esprimere un giudizio su di sé. L’uomo, infatti, non agisce per essere apprezzato dagli altri, ma in primo luogo da se stesso. L’azione cooperativa o disinteressata, solidale, non nasce da una vanità o dal giudizio che ci aspettiamo dagli altri, quanto piuttosto dal giudizio che noi abbiamo di noi stessi, specchiandoci negli occhi altrui per trovare, nel loro sguardo, il nostro io interiore. Questa è la συμπάθεια, il sentire comune, insomma, che porta l’uomo naturalmente a vivere in società. Ma alla fine, dunque, questo arbitro imparziale non è che la nostra coscienza.
C’è qualcosa dentro di noi che ci spinge, se non al martirio, al sacrificio di parte di quell’interesse cui pure avremmo diritto. In termini psicanalitici potremmo dire che si tratta di un forte super io. Chi ha Fede sa che è espressione di una visione prima religiosa e quindi etica e non solo utilitaristica dei rapporti. Una visone che, per chi crede, proviene direttamente da Dio, è un suo dono perché è connaturata alla Fede che è anch’essa un dono.
È quindi la nostra accettazione degli altri come fratelli, in quanto figli di Dio, che alla fine indica la strada. La solidarietà, l’aiuto acquistano così una base etico religiosa e non puramente laica. Una base che è necessariamente il messaggio di Cristo che, per la prima volta nella storia dell’umanità, parlava di eguale dignità di tutti gli uomini.
Ciò dovrebbe riflettersi anche nelle scelte delle Nazioni, poiché, con Croce, ci aspettiamo che anche lo Stato non possa non seguire principi etici. Gli Stati, però, lo sappiamo non sono persone, quindi occorre che le loro istituzioni siano concepite e architettate in modo che seguano i principi e gli obiettivi che il popolo vuole dettare. E a ciò sono deputate le Costituzioni. La scelta di non ispirare la costituzione europea, al di là del dato formale, ai principi giudaico cristiani non è stata una riaffermazione di laicità, ma il rifiuto di quegli stessi principi. L’Europa ha voluto nascere fuori dall’impianto etico che ha sostenuto il continente per duemila anni. Ecco il vulnus fondamentale che oggi impedisce di parlare e agire in nome della solidarietà, perché il fondamento di questa Europa è il “self interest”, l’interesse per sé, non “l’amore di sé” e quindi il rispetto dei propri valori.
Da qui il grido di Giovanni Paolo II, “Per questo, io, Giovanni Paolo, figlio della Nazione polacca, che si è sempre considerata europea, per le sue origini, tradizioni, cultura o rapporti vitali, slava tra i latini e latina tra gli slavi; lo, successore di Pietro nella sede di Roma, sede che Cristo volle collocare in Europea e che l’Europa ama per il suo sforzo nella diffusione del Cristianesimo in tutto il mondo; lo, Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, da Santiago, grido con amore a te, antica Europa: “Ritrova te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale … Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. …” (Santiago del Compostela, 9 novembre 1982)
È su queste basi etiche cristiane invocate, anzi gridate da San Giovanni Paolo II, che oggi dobbiamo affrontare l’unità europea dinanzi alla pandemia non ostante il rifiutpo deòlla classe dirigente europea.
La Fede in questi valori non indica ovviamente quale sia il mezzo politico migliore (i fondi, i corona bond etc.) perché “a Cesare quel che è di Cesare”, ma impone a tutti i governanti cristiani di Paesi che si professano cristiani, di interessarsi amorevolmente alle vicende degli altri e di contribuire a realizzare la loro felicità, usando il sentimento di συμπάθεια e amore e non l’egoismo. Perché gli Stati non sono e non possono essere etici, ma i governanti sì.